C’è un Paese fermo, immobile, in contemplazione.
Che prende quello che gli serve che costruire il proprio mondo, una sorta di ecosistema virtuale.
Da una parte c’è chi contempla il passato: la Cassa per il Mezzogiorno, il Veneto bianco, la Democrazia Cristiana, il Pci, il pentapartito, i Savoia, i Borboni, la liretta azzoppata e svalutabile.
Dall’altra i sacerdoti del tutto nuovo, tutto bello, tutto luccicherello. Gli apostoli del web, le vestali del punto qualcosa.
All’apparenza poli opposti, nella realtà una convergenza totale: il ritorno dell’ideologismo, la coperta di Linus che rassicura tutti. L’ombrello sotto al quale ci si sente protetti e difesi.
Il cortile dove sentire le cose che piacciono e, insieme, scagliarsi contro quelle che non piacciono. A prescindere.
E poi c’è la realtà: l’incapacità di affrontare le questioni del presente, di avere visioni (e non allucinazioni) sul futuro.
E la meraviglia con l’angosciosa frase “Non cambia niente”.
Cultori dello “status quo”, a prescindere.