Qualche giorno fa in uno dei paesoni che cingono Napoli mentre attendevo un autobus, il mio sguardo si è soffermato su pezzi di latta che qua sono deputati a ospitare i manifesti elettorali.
C’erano diversi manifesti, nessuno integro e tutti scoloriti. Sole ce ne è stato, ma non tanto potente.
Poi l’occhio – ripreso dalla coda dove sorvegliava l’arrivo del bus – si è posato su un piccolo particolare: la data delle elezioni.
Erano manifesti delle regionali del 2020 (insieme anche ad un paio delle Politiche 2022): in pratica era stato rimontato il tabellone senza togliere i vecchi manifesti.
Però quei manifesti del 2020 erano di candidati (non eletti) e ora di nuovo ai nastri di partenza!
Direte se per tre elezioni consecutive si sono sfidati De Luca e Caldoro (2-1) non si possono non ripresentare gli stessi candidati. Giusto, non fa una piega!
Anche in occasione delle elezioni regionali campane del 23 e 24 novembre 2025 ritornano gli abbonati alle candidature, cioè individui che praticamente a ogni competizione elettorale si presentano agli elettori.
Attenzione: non sono gli sfigati riempilista della Prima Repubblica o candidati (delle forze armate e dell’ordine) nei piccoli comuni per lucarre un po’ di licenza gratis, o idealisti che, con liste destinate a magro consenso, portano avanti coraggiosamente le loro idee.
Quelli che si vedono da anni in Campania (è il posto che frequento per lavoro e di cui posso testimoniare almeno per 20 anni) è gente che possiede pacchetti di voti localizzati territorialmente o settorialmente ma che molto spesso oltre la dimensione comunale non riescono ad andare.
Però ha la necessità di contarsi per contare la truppa e contrattare con quello che resta dei partiti posti di sottogoverno. Magari ci sarà un posto fisso che al quale si potrà concorrere.
Prremesso che è tutto lecito, però occorre osservare che questi “voti bloccati” bloccano sostanzialmente il turn over democratico per esempio nei consigli comunali. Cioè il luogo che più da vicino gestisce la vita dei cittadini.
Si tratta, molto spesso, di consenso costruito con rapporti clientelari all’ombra del sistema di preferenze 1+1 (medici di base massimalisti, sindacalisti di servizi pubblici, dirigenti di strutture pubblica e private della sanità o dei servizi sociali, legali con corposa clientela, solo per fare esempi generici).
La preferenza unica (a cui si accoppia quella di genere, su cui prima o poi pubblicherò uno studio statistico) consente di fare alcune cose e ne impedisce altre: soprattutto costringe, se eletti, nell’istituzione di livello più basso a continuare ad alimentare quel consenso, molto spesso iperlocale, mentre per il livello superiore, la Regione, occorre un’altra trama e per le Europee accordi partitici più strutturati e non alla portata di tutti (immaginate un candidato di Caserta che deve trovare voti a Lecce senza sostegno del partito!).
Inoltre il continuo presidio di certi luoghi dopo certo tempo registra anche consenso in uscita e, quindi, nel medio termine, tra entrate e uscite il blocco dei voti resta lo stesso. Magari utile per essere eletti in un consiglio comunale, non per altro.
Con le vituperate (in parte a ragione) preferenze della Prima Repubblica chi aveva un pacchetto di voti facendo accordi anche parziali con uno o più candidati poteva smuoversi dalla posizione di partenza. Certo non tutti e non sempre.
Ma ora si è alla testimonianza.
E al blocco dei nuovi ingressi: un nuovo candidato in un consiglio comunale per avere una chance non solo deve scegliersi il partito buono (che cioè può aggiudicarsi più seggi) ma deve puntare al livello dei voti di questi “senatori”.
La soluzione: beh, nel grafico sotto
Che vuo’ fa ? e che m fat fa? Ecco perche’ ci sono le solite faccetoste…e di riforma elettorale non.se ne parla.Non.conviene.a nessiuno…