L’indignazione della politica dopo la scoperta (?) di pagine social, siti web con immagini sessiste, foto rubate durante rapporti intimi e foto rubate in bagni e spogliatoi è tardiva e pelosa.
Chi si indigna oggi, ha fatto di quel metodo – l’uso della post-verità, la classificazione delle opinioni, i bot che assaltano i social degli avversari politici o semplicemente chi non è d’accordo, l’uso di fatti privati attenuati dai condizionali per pararsi dalle querele – la propria cifra politica e lo strumento del consenso.
Ci sono strutture annidate nei palazzi del potere e della politica, pagate con i soldi dei contribuenti, che fanno questo lavoro: pianificano, organizzano e gestiscono campagne di disinformazione, di odio, di demonizzazione di avversari e di temi.
Qualcuno ricorda Bibbiano? o del povero direttore di Avvenire? o del portavoce di Prodi? o del magistrato con le calze colorate? o la bambola gonfiabile sventolata durante un comizio per insultate la Boldrini?
Ci si indigna quando si passa all’altro lato.
Ci si accorge ora cosa significano gli account anonimi, i bot, i leoni della tastiera (che poi questa gente che fa 100/200 post/tweet al giorno dando la caccia a ogni cosa attaccabile di cosa vive? e, se è lecito, chi la paga?): basterebbe poco per fermare questa musica: dietro ogni account ci deve essere un’identità, poi uno può chiamarsi come più ritiene, ma dietro ogni account serve un’identità certificata (tipo Spid o Cie).
Ci si oppone a questa idea dicendo che così si limita la libertà dove libertà non c’è, ma qua si parla dell’Italia non del Sud Sudan (anche se certe derive li portano).
Basta estendere la legislazione sulla stampa: tu sei libero di non firmare un articolo su una testata registrata al tribunale. Il direttore responsabile ne risponde sempre ed è tenuto a rivelar l’identità dell’autore se non lo fa è ritenuto egli stesso l’autore.
Solo che chi vive di giornalismo – come il sottoscritto – sottostà a regole (spesso inutili e desuete), chi diffonde merda e notizie false fa quello che vuole, anzi guadagna.
Con la connivenza della politica che lucra sul consenso creato sul malpancismo (salvo poi a rimangiarsi tutte le promesse appena sente il profumo della stanza dei bottoni) .