La classe politica italiana è imbarazzante (con poche eccezioni) per la sua ignoranza.
Per essere eletti con il Porcellum il voto dei cittadini è quasi inutile: i candidati che poi verranno eletti sono designati dai segretari di partito e non hanno bisogno nemmeno di presentarsi agli elettori che tanto manco sulla scheda elettorale ne trovano il nome.
Si potrebbe andare in un cimitero prendere nomi dalle lapidi e comporre una lista non cambierebbe nulla.
Una volta eletti la mattina, ogni giorno, arriva il “mattinale” con le indicazioni sulla giornata, le dichiarazioni da fare, su cosa intervenire. E durante la giornata arrivano gli aggiornamenti.
Quindi partono le “ondate” di dichiarazioni per occupare lo spazio dei Tg, i siti e i “pastoni” dei giornali, fare interventi in convegni, riunioni e dibattiti.
Basta solo evitare il contradditorio con qualcuno che conosce la materia. Ma non accade nei dibattiti con altri politici, tanti tutti parlano per slogan sulla base di conoscenze raffazzonate.
Più sono complicati gli argomenti (perché la vita è purtroppo sfortunatamente complicata) più c’è lo sforzo di banalizzare: gli spin doctor lo sanno e sanno di avere clienti modesti per cui fanno, dal loro punto di vista, un buon lavoro. L’importante è dividere: di qua o di là. Fa niente se qualche volta si è costretti a frettolose retromarce.
Sicché tra un mattinale e l’altro è arrivato il turno delle imposte. Tagli alle aliquote, patrimoniale, ricchi e poveri, effetto Mamdani (il nuovo sindaco di New York).
Le imposte non si impongono dopo una partita a scopa al bar con lauta condivisione di birre: ci sarebbero delle teorie che vengono studiate dalla “Scienza delle finanze” che sostanzialmente studia la sostenibilità del sistema fiscale sia per i cittadini, sia per l’economia, sia per lo Stato.
Roba delicata.
Dietro ogni scelta c’è il fantasma del “crowding out”, lo spiazzamento. Cioè si pensa di ottenere degli effetti, se ne ottengo altri non desiderati e desiderabili.
Per esempio si riduce un’aliquota su uno scaglione del reddito sperando di far aumentare la propensione al risparmio per finanziare gli investimenti e, invece, si ottiene l’aumento di consumi di beni prevalentemente importati e, quindi, si esportano, capitali e si finanzia gli investimenti altrui!
Fino a quando questa materia è in mano al ministero dell’Economia si può stare tranquilli: a dispetto della volatilità dei governi e dei ministri al ministero è riconosciuta a livello internazionale una profonda competenza.
Quando la materia finisce in mano a presunti esperti dei partiti comincia il teatrino.
La manovra di bilancio 2026 introduce una riduzione dell’aliquota Irpef al 33% per i redditi compresi tra 28mila e 50mila euro/annui, rispetto al 35% attuale.
Nel 2024 (redditi 2023) i soggetti in questa fascia erano 8,2 milioni (20,7% di tutti i contribuenti) con un reddito lordo di 299 miliardi di euro (30, 2% di tutto il reddito lordo dei contribuenti italiani) e hanno pagato un’imposta netta di 58,6 miliardi (pari al 32% di tutte le imposte pagate).
Per farla breve il 20,7% dei contribuenti ha pagato il 32% di tutta l’imposta sulle persone fisiche.
Si tenga inoltre presente che coloro i quali rientrano in questa fascia di reddito pagano per intero tutti i servizi pubblici perché l’Isee – anche solo per il reddito – supera tutti i limiti per l’accesso ai servizi pubblici: cioè oltre a pagare più imposte paga più tasse (e qui la prima differenza: le imposte sono un prelievo coattivo di reddito effettuato dallo Stato per sostenere la spesa pubblica, le tasse sono il tributo versato a un ente pubblico in cambio di un servizio specifico o della fornitura di un bene determinato, p. es. l’uso dello scuolabus) .
Quindi, il reddito disponibile reale oltre a essere decurtato dalla imposte è ulteriormente limato dalle tasse!
Quello è il mondo che si è impoverito e ha ridotto negli anni la propensione al risparmio, senza aumentare i consumi.
Quella fascia di reddito, ma allargherei anche fino al 75mila euro, è il ceto medio: professionisti, funzionari, dirigenti, cioè la nervatura del sistema Paese.
Non si può dire che si tratti di gente ricca (termine che in questo paese scatena odio e riprovazione) ma gente che esercita responsabilità e ruoli che derivano da competenze (certo ci sono pure le categorie ampie dei raccomandati e dei fortunati): in buona sostanza è gente che in media e prima di pagarsi tutti i servizi pubblici guadagna meno di 2.400 euro al mese (ai quali bisogna sottrarre le addizionali Irpef locali).
Si può essere ricco con meno di 2.400 euro al mese? Non credo.
Quindi, è giusto intervenire e riequilibrare il rapporto tra paganti (20,7) e pagato (32), semmai si sarebbe dovuto fare di più.
Certo lo scaglione del 33% si applica anche a chi ha redditi più alti (perché è automatico) e quanti sono?
I contribuenti con oltre 50mila euro di reddito lordo sono 2,9 milioni, pari al 7,3 % di tutti i contribuenti ma pagano il 44% di tutto l’Irpef cioè 81 miliardi su 183!.
Nel grafico che segue ci sono le percentuali di chi paga e quanto paga riferiti a tutte le classi di reddito.
Non è dunque un controsenso sostenere che è giusto tagliare l’Irpef ai redditi medio-alti e poi sostenere che è giusto applicare la tassa Zucman (in Italia volgarmente interpretata come patrimoniale)?
Il reddito è ciò che percepisco in relazione a come fruttano i fattori cioè terra, lavoro, capitale.
Il lavoro è quello che è “fruttato” di meno: l’Italia – secondo l’Ocse – è il paese che ha visto il calo maggiore dei salari reali tra le maggiori economie Ocse!.
Non così le rendite da capitale. I grandi patrimoni sono aumentati negli ultimi 30 anni – rileva l’economista francese Gabriel Zucman – del 10% all’anno!
Quindi un’imposizione sui grandi patrimoni (si badi bene la categoria coinvolta in Francia sarebbe quella oltre 100 milioni di euro) del 2% limerebbe la vorticosa crescita all’8% e non al 10%!
In Francia questi grandi patrimoni sono 1.800.
Il problema vero non è, come vaticinano commentatori ispirati da ideologie che non conoscono, che questa gente per non pagare qualcosa in più se ne andrebbe in altri paesi (i soldi si spostano e sono già al sicuro in qualche paradiso fiscale almeno per la gran parte, le proprietà no), ma la base imponibile su cui applicare questa imposta.
E’ qui che c’è l’ombra del “crowding out”: l’imposizione dovrebbe evitare quelli che una volta nel Novecento erano definiti “strumenti della produzione”.
In sostanza servirebbe non imporre l’imposta ai Ferrero e a quanti come loro hanno creato valore per il Paese che il patrimonio se lo sono costruiti con il genio, ma a chi ha vissuto di rendite spessissimo rendite permesse da monopoli (naturali, come le autostrade, e non).
Monopoli che sono la trama dell’economia socialista italiana tuttora solidissima a dispetto dei vaticinatori del libero mercato!
Ciò che è immediatamente realizzabile (non proprio semplice, ma possibile) è l’imposta sui beni immobili (abitazioni e terreni non usati direttamente).
Può essere l’aliquota dell’Imu uguale per chi possiede due case (oltre la prima che è esclusa dall’imposta) e un soggetto che ne possiede 47 (non è un numero a caso ma un caso di mia diretta conoscenza)?
Quello dei grandi patrimoni immobiliari abitativi è un mondo poco conosciuto, molto nascosto, ma che ha effetti devastanti sul mercato immobiliare delle città (altro che Airbnb come sostengono gli albergatori che , tra l’altro, dovrebbero spiegare con quante nuove camere hanno contribuito all’ospitalità del boom turistico degli ultimi anni e con i soldi di chi, eventualmente, le hanno realizzate): chi possiede tante proprietà decide di locarle solo quando è soddisfatto del prezzo che ottiene.
Quindi, se non ottiene ciò che vuole i locali restano vuoti: avendone tanti può calcolare il reddito atteso sulla somma e non il singolo (un commercialista di media bravura può spiegare facilmente la tecnica).
Domandiamoci, per esempio, come mai sono vuoti molti locali commerciali in strade di pregio di alcune città?
Elevando l’aliquota dell’Imu sui grandi patrimoni immobiliari si otterrebbe gettito fiscale, nel caso delle abitazioni se ne immetterebbero sul mercato facendo abbassare i prezzi (perché con aliquote più alte è più complicato tenere il patrimonio fermo), ampliando l’accesso alla casa soprattutto ai giovani (e quindi con la cedolare secca sugli affitti ulteriore gettito fiscale) e tutto sommato pulendo il mercato immobiliare dalle incrostazioni che sono presenti oggi.
Con un norma (ovviamente ci sono molte questioni tecniche da affrontare) fatta facendo attenzione a preservare i giusti investimenti delle famiglie (tre, quattro case potrebbero esser un limite percorribile) si potrebbero ottenere molti buoni risultati.
E si darebbe un segnale a tutto il Paese: si premia il merito e non la posizione.
Un rivoluzione!
Analisi precisa rivolta alle tante teste di zucca,e Zucman ne e’ l’acronimo, che come hai ricordato parlano a reti unificate “alla Capezzone” per difendere posizioni di rendita,interessi consolidati.Cosi il ceto medio,finito nella fascia di poverta,paga per se’ e per l’economia del BelPaese.Far emergere il merito, far rispettare la Costituzione per quanto recita sulle tasse?E proprio quest’ultima che viene ignorata insieme a una evanescente lotta all’evasione.E su questo gli anonimi comunicati della Guardia di Finanza ne sono la conferma…Finita?Attendiamo fallimentare report su opere Pnrr e gli effetti della corsa al riarmo da destinare alle casse degli Stati Uniti,che ci hanno imposto i dazi.Per Capezzone,non e’ il solo,e le altre tesre di zucca e’ veramente cosa buona e giusta…